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venerdì 15 marzo 2013

Francesco: un sorriso dalla schiena d’acciaio

 
 

Sono anticlericale, benché non disdegni le letture di sant’Agostino, della Patristica o dei mistici del Seicento, e mi chiedo spesso come un professante possa prescindere da studi teologici.

 
Non appena ho sentito che un cardinale argentino è asceso al soglio di Pietro, la sua stessa cittandinanza mi ha dato una scossa alla schiena e repentine sono inevitabilmente emerse un paio di domande: che ruolo ebbe nella Chiesa della dittatura che insanguinò il Paese? Che cosa sa della destra ultracattolica ancora operativa?
La curiosità ha fatto il resto.
Jorge Mario Bergoglio nasce a Buenos Aires il 17 dicembre del 1936 da genitori di origini piemontesi. Dopo il diploma in chimica studia psicologia e filosofia e a 21 anni la vocazione sacerdotale lo conduce al seminario di Villa Devoto, come novizio nell’ordine dei Gesuiti. Diventerà sacerdote a 33 anni il 13 dicembre 1969 riuscendo in una carriera ecclesiastica fulminea.
 
Tra il 1973 e il 1980 è Provinciale del suo ordine e nel 1979 prende posizione contro la Teologia della Liberazione: in occasione del Consiglio Episcopale Latinoamericano del 1979 dichiarerà per la Chiesa latinoamericana la necessità di tornare alla tradizione e all’origine della sua cultura.
È anche però il periodo più cruento in cui l’Argentina scende la china della dittatura.
 

In L’sola del silenzio Horacio Verbitsky raccoglie le testimonianze di chi ebbe direttamente a che fare con l’allora Superiore provinciale, Orlando Yorio e Francisco Jalics. Nel 1976, ai due gesuiti venne intimato di abbandonare il loro impegno nelle baraccopoli, ma essi rifiutarono. Vennero espulsi immediatamente dalla Compagnia di Gesù, venne loro impedito di dir messa e marchiati con l’accezione di “sovversivi” applicata loro da Bergoglio; pochi giorni dopo il golpe dello stesso anno vennero arrestati e condotti alla famigerata Esma (Escuela mecanica de la Marina) da dove sarebbero stati scarcerati soltanto dopo cinque mesi di torture. Nella stessa operazione di rastrellamento vennero catturati quattro catechiste e due dei loro mariti. Fra loro erano Monica Mignone Candelaria, figlia di Emilio Mignone, fondatore del CELS (Centro di studi legali e sociali), Marta e Maria Vazquez Ocampo, presidentessa delle Madri di Plaza de Mayo, Martha Vazquez Ocampo, che andarono a ingrossare le fila dei desaparecidos.

Bergoglio si difese sempre dalle accuse mossegli dai due gesuiti fino a quando emerse dagli archivi del ministero degli Esteri un documento che comprovava la sua diretta responsabilità nella loro cattura: Francisco Jalics, rifugiatosi in Germania nel 1979 aveva richiesto il rinnovo del passaporto per evitare di dover tornare nell’Argentina della dittatura, rinnovo che si vide negare. In una nota con cui la richiesta veniva respinta era indicato dal ministero del Culto come “sovversivo” con diretta raccomandazione del Superiore provinciale dei Gesuiti che il rinnovo non venisse rilasciato. Il superiore provinciale era Bergoglio. Anche Orlando Jorio ebbe a Roma conferme in tal senso, ovvero che erano stati catturati su pressione dei loro superiori ecclesiastici secondo i quali almeno uno dei due era un guerrigliero.
 
Le accuse verso Bergoglio ripresero vigore quando uscì per Pagina/12, l’11 aprile del 2010, un editoriale di Horacio Verbitskty che metteva a nudo da un lato i tentativi di Bergoglio di far cadere nell’oblio le sue relazioni con la dittatura militare, e dall’altro il diniego dell’ormai porporato, candidato in concorrenza con Ratzinger al conclave del 2005.
Ancora oggi, e forse mai più di oggi, Bergoglio è al centro di un’ampia controversia che schiera sostenitori e detrattori al vaglio del suo passato. Hebe de Bonafini, presidentessa della Asociación Madres de Plaza de Mayo, addebita a Bergoglio precise responsabilità di connivenza con la dittatura, e dichiara di mantenere soltanto rapporti con la Chiesa del Terzo mondo, non con la Chiesa ufficiale, che dei 150 sacerdoti desaparecidos indicati dalla Associazione mai si interessò o chiese notizie o giustizia; “Sull’elezione di questo Papa che hanno eletto ieri – dice Hebe de Bonafini – soltanto non ci rimane che dire ‘Amen’” . Analoga la reazione di Estela Carlotto, responsabile delle Abuelas de Plaza de Mayo, che lamenta di Bergoglio: “Non lo abbiamo mai sentito parlare dei nostri nipoti né dei desaparecidos”. E anche Taty Almeida, responsabile delle Madres de Plaza de Mayo Linea Fundadora, con parole simili sottolinea tanto il disinteresse della Chiesa per i sacerdoti trucidati, quanto il silenzio con cui la Chiesa rispose ai 30.000 desaparecidos e alla tratta di neonati che seguì all’incarcerazione delle ragazze incinta poi sparite.
Sull’altra linea del fuoco si dispongono personaggi insospettabili come il premio Nobel per la pace 1980 Adolfo Pérez Esquivel che in un’intervista rilasciata alla Bbc solleva Bergoglio da ogni attribuzione. Benché vi fossero vescovi conniventi con la dittatura Esquivel si dice certo che Bergoglio non fosse tra questi e che anzi si adoperò, come altri invano, per la scarcerazione dei prigionieri.
 
Lo stesso Bergoglio pubblicò nel 2010 un testo a propria difesa, El jesuita, nel quale, oltre al caso dei confratelli Orlando Yorio e Francisco Jalics arrestati e torturati, forniva una personale versione del conclave del 2005 in cui fu il cardinale più votato ma dal quale venne infine eletto Ratzinger. L’allora cardinale argentino  rinunciò al papato per far piena luce sul suo passato e sulle accuse che lo adombravano. Il libro racconta che, quando Giovanni Paolo II si andava spegnendo e il suo nome veniva dato come il maggior candidato a successore di Pietro, era riemersa una denuncia giornalistica pubblicata alcuni anni addietro a Buenos Aires e che alla vigilia del conclave nel quale sarebbe stato scelto il successore del papa polacco, una copia dell’articolo era stata inviata agli indirizzi e-mail dei cardinali elettori allo scopo di danneggiare la sua possibile elezione. Bergoglio sostiene nel suo libro di non aver mai replicato per “non assecondare nessuno, non perché avesse qualcosa da nascondere”.
Ratzinger lo tenne in larga considerazione e il Soglio pontificio lo attese per offrirglisi ora, con il nome di Francesco I, scelto tra una rosa di candidati quali l’italiano Angelo Scola, il brasiliano Odilo Scherer, il canadese Marc Ouellet e l’americano Timothy Dolan.
 

Francesco I è il primo papa gesuita e il primo papa latinoamericano: la sua elezione segna una tappa importante per l’America Latina, che riunisce la più grande popolazione cattolica del mondo: 501 milioni di abitanti, il 42% del totale di 1.200 milioni di aderenti, secondo le statistiche della Santa Sede. Un papa che si presenta come oppositore degli sprechi e del lusso, sensibile ai poveri e agli ultimi ma anche un papa legato fortemente alla tradizione e impegnato nell’arena politica, come spiega ancora Verbitsky. Bergoglio, durante la dittatura militare, svolse attività politica nella Guardia di ferro, un’organizzazione della destra peronista, dal nome che riecheggia un’organismo formatosi tra il 1920 e il 1930 in Romania e legato al nazionalsocialismo.

Del resto sono ben noti i cattivi rapporti del cardinale con il governo argentino. Non esitò infatti ad affrontarlo quando si diede avvio al progetto della Ley de Matrimonio entre Personas del Mismo Sexo, nel 2010. Giorni prima della sua approvazione, Bergoglio definì il progetto “Una guerra di Dio”. Inoltre descrisse il progetto che ha permesso il matrimonio gay come “una mossa del diavolo” ed ha incoraggiato ad accompagnare “questa guerra di Dio” contro la possibilità che gli omosessuali possano sposarsi. Per Bergoglio “non si tratta di una semplice lotta politica; è la pretesa di distruggere il piano di Dio”.
L’ex presidente Nestor Kirchner criticò le sue pressioni, mentre la presidenta Cristina Fernandez de Kirchner definì le sue parole come prodotte “al tempo del Medioevo e dell’Inquisizione” e la legge venne infine approvata.
Stessa chiusura, si legge in Confidencial Colombia, Bergoglio ha sempre opposto, con maggior vigore contro l’aborto, ma anche per l’adozione concessa a coppie dello stesso sesso.
Insomma, se Francesco è il nome che dovrà caratterizzare l’operato di Jorge Mario Bergoglio, c’è da sperare che voglia in esso accogliere quella spiritualità francescana che fa della povertà, dell’obbedienza e della castità la sua cifra, nondimeno non stupirebbe che Francesco, come Giano bifronte, volgesse il capo e si presentasse con il volto ardente e combattivo del compagno di Loyola, Francesco Saverio, fondatore dell’ordine dei Gesuiti.
Un sorriso dalla schiena d’acciaio capace di rimettere ordine tra le fila di una Chiesa percorsa da inquietudini e scandali, capace di rimettere ordine nello Ior ma anche in quella Chiesa che ha nel sociale il suo maggior impegno e che in Italia va da don Ciotti a don Gallo. Espressione quanto più vicina quest’ultimo, a quella stessa Teologia della Liberazione dai personaggi come Leonardo Boff, lui sì francescano, o Gustavo Gutierrez, l’italiano Giulio Gilardi prete operaio, Frei Betto vicino a Lula a cui il Bergoglio dei poveri era paradossalmente ostile, per la radicalità del cristianesimo che questa congerie di cattolici sandinisti e comunisti, ispirati da Martin Luther King, andava e va perorando. Teologia della Liberazione che ebbe tra le sue fila un gran numero di desaparecidos e che deve i suoi natali a figure come padre Carlos Mugica, teologo vicino ai montoneros argentini, che citava il Che e Mao nei suoi discorsi, trucidato nel 1974. Insomma un papa che viene “dalla fine del mondo”. Ma se la pragmatica della comunicazione, come pure la psicologia e la sistemica asseriscono che sia impossibile cambiare le regole di un gioco dall’interno, Bergoglio disassa lo squilibrio per riequilibrarlo. Stante il suo passato, pare verosimile che giunga da quella fine del mondo per por rimedio a questo, e da qui dar una sistemata da lontano al mondo da cui proviene.
Ed è il mondo espressione di una recente politica per molti versi femminile e combattiva, alla quale Bergoglio si rivolse sostenendo che le “Donne sono inadatte per compiti politici. Possono solo supportare l’uomo”. Un mondo nel quale le diverse espressioni del socialismo stanno faticosamente aprendosi un varco, dando i natali a personaggi come Hugo Chavez ed Evo Morales, ma agli stessi Kirchner argentini che per primi fecero dei Diritti umani un loro impegno dopo la dittatura. Un mondo che, dopo esser stato per decenni laboratorio delle politiche liberistiche statunitensi, attraverso il braccio armato della Cia, ha voltato le spalle agli Usa ma anche all’Fmi cercando un’emancipazione propria, e propria dei popoli originari attraverso distinti cammini – dal Chiapas al governo di Morales alla recente recrudescenza del conflitto tra Stato e Mapuche in Cile.
 

Bergoglio sembra a tutta prima l’espressione di quella destra ultraconservatrice tutta ispanofona che affonda le sue radici nella cattolicissima Spagna di fine ‘500, in quella Spagna soggiogata da un’inquisizione temuta persino da Roma. Ovvero di quella destra ultraconservatrice, nerbo del latifondismo sudamericano, delle lobby, della finanza che le Madres de Plaza de Mayo denunciarono in un comunicato del 2007 a chiare lettere identificandolo nelle figure di Macrì, Bendini e Bergoglio. Quello stesso Macri che, tra le altre cose, appoggiò risolutamente la candidatura di Daniela Ugolini alla presidenza del Tribunale Superiore di Buenos Aires nel 2009, impugnata dalle organizzazioni sociali che vedevano nella Ugolini la negazione stessa dell’apertura a favore dei diritti umani, della rivalsa della tradizione reazionaria, e colei che aveva avallato la chiusura di una mostra di Léon Ferrari considerandola un’opera anti-cristiana. Salvo poi che la mostra venne chiusa perché allo stesso Léon Ferrari, attivo artista e intellettuale vincitore della Biennale di Venezia del 2007, era stata per gli stessi motivi procurata la minaccia di una bomba all’interno degli spazi espositivi.

 
Un uomo allora, Jorge Mario Bergoglio, che pare uscito da una borghesia agguerrita per saldare quel mondo a questo, in cui le insorgenze popolari fanno da contraltare al riflusso egemonico della finanza più spietata. Poveri, sì, ma rassegnati.
Se il sorriso avrà una schiena d’acciaio, i poveri saranno forse più poveri, ragionevolmente, dogmaticamente, poveri.
 
 
 
 
“[…] ed entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e comperavano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe e non permetteva che si portassero cose attraverso il tempio. Ed insegnava loro dicendo: “Non sta forse scritto:
La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti? Voi invece ne avete fatto una spelonca di ladri!”. L’udirono i sommi sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire. Avevano infatti paura di lui.”
vangelo secondo Marco, c.11,vv.15-19.
 
Vicario di Cristo?!
 
 

 

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