In nome del progresso, facciamoci da parte..
lasciamo l’aria e l’acqua, boschi, crinali, sentieri, periferie e città a chi sa farli rendere!
mansuetudine ci vuole! non dobbiamo intralciare la “democrazia”.
E’ ora di lasciare che l’imprenditoria tragga il meglio dal territorio, ne sfrutti le risorse e offra lavoro.
Ed ecco tracciati d’asfalto e ferro ad alta velocità/capacità, strade di cantiere per la realizzazione di solettoni eolici industriali in un paese in cui non si raggiunge il quantitativo minimo di ore di lavoro per macchine che quindi non hanno motivo di essere installate, bruciatori più o meno bio, fino agli inceneritori; aziende che si appropriano del territorio e delle sue risorse, in nome di un futuro su cui incombe l’ipoteca della finanza.
I luoghi che abitiamo, la possibilità di tutelarli e viverli al meglio, vengono visualizzati come corridoi di passaggio per le merci, mentre sempre più restrizioni condizionano la libertà di movimento delle persone, i nostri più elementari diritti.
così per il Corridoio 5, la linea TAV che oltre alla più nota tra le zone interessate, la Val Susa dei fieri No Tav e quindi il Piemonte, tocca Liguria, Lombardia, Austria, fino a Kiev.
Se da un lato viene spacciata per una soluzione all’isolamento e al degrado economico, alla disoccupazione, addirittura all’inquinante traffico su gomma, in nome dello stesso sviluppo, in realtà utile solo ai grandi nomi e loro “clienti”, dall’altro vengono considerate altrettanto strategiche proprio nuove infrastrutture in asfalto, secondo liet motiv quali i P.R.U.S.S.T. Nientemeno che Programmi di Riqualificazione Urbana e di Sviluppo Sostenibile del Territorio.
Secondo questi programmi Cuneo, tanto per fare un esempio, deve assolutamente dotarsi di nuove strade. Se il flusso di traffico in termini di TEU (containers) non giustifica l’abbandono di linee ferroviarie esistenti, che costerebbero molto meno e implicherebbero solo manutenzione, non certo per miliardi di euro, altrettanto fantasiose paiono le previsioni di traffico su gomma; certamente non giustificano nuovi trafori in territori ancora integri la cui economia dovrebbe basarsi su uno sviluppo consono al contesto, incentivando il turismo a basso impatto e l’artigianato.
Il Corridoio 5 ha diversi nomi e conseguenze a seconda della zona in cui verrebbe sviluppato:
Terzo Valico a Genova, nonché la relativa bretella autostradale (Gronda di ponente), senza scordare che una zona degradata e usata come stoccaggio di rifuti (in realtà una discarica legalizzata), Scarpino, è stata attrezzata di una nuova strada d’accesso col pretesto di allontanare i miasmi dei trasporti dagli abitanti ed è bella e pronta per i cantieri del suddetto Valico. Tra Liguria e Piemonte esiostono già cinque valici sottoutilizzati che ospiterebbero senza problemi il traffico previsto, proveniente dal porto.
In vista della Torino-Lione, che da quasi vent’anni angustia una popolazione pacifica ma determinata, anche Cuneo “deve” cogliere la palla al balzo per uscire dall’isolamento e munirsi di adeguate infrastrutture. Questione annosa la Statale 28, che attende di essere messa in sicurezza da anni e che diviene un’arteria bisognosa di trafori e prolungamenti fino a Imperia, così da far fluire in alta Val Tanaro tir e turisti, che non vedranno l’ora di fare spese in un nuovo luogo di degrado, contaminato dal traffico, col suo inquinamento e il frastuono, zone carsiche e boschi martoriati. Non si vede come questo potrebbe migliorare le condizioni occupazionali e rappresentare uno “sviluppo sostenibile” del territorio.
Parallelamente grandi promesse riguardano il settore del millantato rinnovabile. Eolico e fotovoltaico, centrali a biomasse; termini molto convincenti oggidì, che realizzati a livello industriale non potranno che tradire quel basso impatto che viene sbandierato. Un impatto non solo ambientale, e non è poco, ma sociale e sanitario.
Le decisioni devono tornare agli abitanti, in un percorso di presa di coscenza in cui si cessi di delegare alle amministrazioni troppo spesso distratte e colluse. Garantiscano la trasparenza dei progetti anziché strumentalizzarli anzitempo elettoralmente.
Troppe volte si sono consumati, è il caso di dirlo, incontri tra esponenti delle amministrazioni anche provinciale, regionale e ministeriale, poi propagandati come florilegi di buone intenzioni e fruttuose iniziative dalla stampa nazionale e locale, senza che ne venisse avvisata la popolazione. Abbiamo pagato le numerose inaugurazioni, spesso finte, di inizi lavori, centinaia di milioni di euro destinati dal CIPE per tali opere e poi scomparsi, il clientelismo che vede sempre gli stessi assumere diverse identità, sempre riconducibili a imprenditori e affaristi in odore di malavita o defunti ricchi e prescritti.
resistere!